-LA LINGUA-
L'UNESCO ha proclamato nel 2015 il 5° NOVEMBRE Giornata mondiale della lingua rom per promuovere la preservazione della lingua e della cultura rom, migliorare il benessere del popolo rom e riconoscere l'importanza di tutte le lingue, la cui diversità è fonte di forza per tutte le società.
La lingua romanì conta circa 33.000 parole e rappresenta una buona base per la sua modernizzazione e standardizzazione finale. Esistono 17 dialetti ma chi parla dialetti diversi riesce a capirsi. C’è stato un lavoro sostanziale per creare un linguaggio standard, ma c’è ancora molto lavoro da fare.
L’UNESCO dovrebbe continuare ad assumere un ruolo guida nel rafforzamento del dialogo interculturale, favorendo il riavvicinamento culturale, in particolare proclamando la Giornata mondiale della lingua romanì, che aiuterà l’ulteriore sviluppo e la ricerca della lingua romanì negli Stati membri.
“Solo il linguaggio ci protegge dalla paura delle cose senza nome. Solo il linguaggio è meditazione”. Queste parole, del compianto Toni Morrisson, ci dicono come una lingua non possa essere ridotta alle parole che la compongono o a significati presumibilmente equivalenti da una lingua all’altra. È un’esperienza del mondo, un universo simbolico contenente conoscenze, storie, culture, identità e modi di vedere, vivere e sentire”.
________________
La lingua è l’espressione più autentica di una cultura.
La romanì chib o romanès
è affine alle lingue o indo-ariane che derivano dal sanscrito. E’una lingua che è stata tramandata oralmente anche se negli ultimi decenni ha sviluppato una solida tradizione scritta. Essa è viva e vitale e, come tale, ha tante varianti dialettali. La lingua
romanì si è arricchita degli imprestiti dei popoli con cui è venuta in contatto e ciò ha permesso ai romanologi di ricostruire l’itinerario storico delle comunità romanès.
Oggi, è anche una lingua scritta grazie ad una fiorente letteratura (poesie, romanzi, opere teatrali, racconti, saggi, articoli giornalistici, etc.) che si è sviluppata soprattutto nella seconda metà del Novecento
La lingua romaní è lo specchio fedele della storia e della cultura delle comunità romanès. E proprio grazie allo studio della loro lingua che si è potuto svelare una parte del mistero delle origini dei Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals che da più di tre secoli girovagavano continuamente in Europa, soprattutto a causa delle politiche persecutorie.
Se oggi conosciamo cosi bene il percorso che i Rom fecero per arrivare in Europa lo dobbiamo soprattutto alla lingua che al suo interno conta circa 800 vocaboli di origine indiana, 70 di origine persiana, 40 di origine armena e circa 250 termini dal greco.
La conferma scientifica arrivo nel 1782 quando venne pubblicato “Della lingua e dell'origine degli Zingari dall'India” dal linguista Christoph Rudiger che tramite il metodo comparativo dimostro che alcune frasi in lingua romanì (reperite attraverso una Romnì di nome Maria) erano riconducibili alle lingue indiane.
La lingua romanì viene tramandata in forma orale da oltre 1000 anni, dall'indiano per arricchirsi di parole nuove durante il viaggio. Nelle comunità viene imparata senza scriverla, nella maggior parte dei casi solo in forma orale, dalla famiglia stessa.
La lingua è uno degli elementi essenziali di una cultura, unisce i suoi componenti e forma un forte senso di appartenenza, così per la cultura romanì ha segnato un elemento di distinzione e conservazione importante in oltre 1000 anni di storia.
La lingua anche grazie alla “conservazione famigliare” è riuscita a sopravvivere a fortissimi repressioni e momenti storici che avrebbero voluto vederla scomparire.
L’alfabeto ufficiale della lingua romanì standardizzata è quello stabilito il 7 aprile 1990
in occasione del 4° Congresso Mondiale dei Rom che si è tenuto a Varsavia. È stato elaborato
dalla Commissione Linguistica della Romanì Union Internazionale, costituito da un
gruppo di diciassette specialisti, coordinati dal linguista francese Marcel Courthiade.
Fra le caratteristiche più importanti da sottolineare della lingua romanì è l’assenza dell’infinito,
esso si ricava dalla radice del verbo, per esempio: ker- (fare) o dalla terza persona
singolare dell’indicativo presente (kerel). Alla radice si aggiungono le desinenze per formare
i tempi. Nella lingua romanì non esiste neanche il tempo futuro perché solo il presente
è importante.